ll suo libro Vittime di violenza: Storie di ordinaria quotidianità ha ricevuto un premio in Costiera Amalfitana, di che cosa si tratta e a chi lo dedica?
Pur non avendo partecipato a nessun concorso letterario, nell’ambito della sedicesima edizione della Festa del Libro in Mediterraneo, il salotto letterario di incostieraamalfitana.it, sotto la direzione artistica e organizzativa di Alfonso Bottone, insieme ad una giuria di grande prestigio, ha scelto di premiare il mio libro assegnandomi il premio speciale Megaris, premio estremamente importante oltre a rappresentare un riconoscimento molto rilevante riservato ai libri fuori concorso. E’ un premio che dedico a Giuseppe Morgante, ragazzo sfregiato con l’acido nel 2019. Si parla ancora troppo poco della violenza agita dalle donne ai danni degli uomini.
Quanto lavoro c’è dietro un libro di tale successo? Quanto ha impegnato a scriverlo? Si riferisce a episodi di vita vissuta?
C’è tutta l’esperienza sul campo, frutto di anni di lavoro. Diciamo che è stato maggiore il tempo necessario a pensare alla sua ideazione che non quello impiegato alla scrittura che è venuta di getto, sfruttando tra l’altro il maggior tempo avuto a disposizione a causa della pandemia. Tutte le storie narrate all’interno del libro sono realmente accadute. Ho dato spazio al racconto di alcune storie di donne che ho incontrato nel mio cammino, anche se ho trattato comunque altre forme di maltrattamento, non limitandomi a quello di genere. Ho scelto anche di inserire due storie di violenza raccontate dagli stessi protagonisti che l’hanno subita. Si tratta di due forme di soprusi completamente diversi: il primo agito principalmente psicologicamente (da un uomo su una donna), nel secondo, noto fatto di cronaca, la violenza è culminata fisicamente con una ferocia inaudita (da una donna ai danni di un uomo) ma entrambi i racconti sono altrettanto drammatici, anche se ovviamente hanno avuto risvolti ed esiti completamente diversi.
Quando si capisce che un rapporto in una coppia si deve fermare perchè oltre i limiti di un sana relazione?
Quando c’è controllo, manipolazione, gelosia eccessiva, non rispetto, svalutazione, disinvestimento, squalifiche, aggressività anche solo verbale. In una relazione sana deve esserci un continuo investimento sul rapporto senza mai dar nulla per scontato, il non attribuire all’altro la responsabilità della propria felicità, mantenere attivo uno spazio di comunicazione, intimità e complicità, accettare l’altro per come realmente è, il desiderio di condividere insieme una progettualità, riuscire ad essere se stessi e conservare una propria individualità, mantenendo al contempo un equilibrio tra gli spazi di coppia e quelli individuali. Fondamentalmente sono tre le dimensioni fondamentali che vanno ad articolare un sentimento d’amore in modo equilibrato. E sono legate al piacere (nel momento in cui avverto un desiderio di te), all’affetto (legato al sentimento, all’esclusività per cui io sto bene insieme a te e non con una qualsiasi altra persona) ed alla stima (io scelgo te tra mille altri, ti apprezzo per come sei). La relazione funzionale avviene ogni volta che si riesce a stare insieme all’altro, rimanendo però centrati su se stessi, mantenendo la propria autonomia, libertà ed indipendenza. Ovvero, è una maturazione emotiva e non dipendente dall’altro. Tutto ciò si raggiunge soltanto nel momento in cui si sta bene con se stessi, solo così si può poi stare bene anche con l’altro. I due partner che creano la coppia mantengono in tal modo, peculiarità e, al contempo, anche le loro diversità. Laddove viene a mancare tutto questo, il rapporto non è più sano e funzionale.
Chi subisce violenza il più delle volte decide di perdonare il partner convinto che sarà un episodio limitato, come capire che il più delle volte non è così?
Chi agisce violenza anche soltanto una volta, tenderà a farlo nuovamente. Occorre immediatamente interrompere questo tipo di relazioni e non giustificare gli agiti del proprio partner. L’autore di violenza spesso adduce la responsabilità dei suoi agiti alla vittima ritenendola responsabile di aver provocato tali reazioni e spesso la vittima collude con tale lettura dei fatti ritenendosi responsabile di averli attivati, oltre chiaramente alla paura di uscire da quella relazione, al timore di poter perdere i figli laddove presenti e alla difficoltà nel riuscire a superare i sensi di colpa. Occorre non colludere con tutto ciò e trovare la forza di uscire da queste relazioni patologiche. Spesso le vittime hanno chiaro che non si tratterà di un episodio limitato ma hanno paura di rompere la relazione in atto.
Come educare le nuove generazioni a non essere violente? Oppure la violenza può far parte del Dna dell’essere umano?
Questo è un discorso estremamente complesso. Sicuramente esistono dei fattori di rischio e quindi predisponenti la violenza (ad es., uso e abuso di alcool e sostanze stupefacenti, esperienze passate di violenza e maltrattamento, minore sensibilità al male e alla sofferenza altrui, un particolare modello sociale e culturale di appartenenza, un contesto educativo e familiare critico, la difficoltà nella gestione degli impulsi, la presenza di psicopatologia, ecc.) così come invece esistono dei fattori protettivi. E’ sempre comunque estremamente importante agire su un piano di prevenzione e in questo ambito, le famiglie e la collettività in generale, assumono un ruolo estremamente importante.
Intervista tratta da Bella di settembre/ottobre 2022