Il 25 novembre è dedicato a sensibilizzare e informare su un’orribile piaga sociale
ogni anno, il 25 novembre, il mondo si unisce per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, un richiamo universale all’urgenza di porre fine a una piaga che continua a colpire milioni di donne in tutto il mondo. La violenza contro le donne è un problema che non conosce confini geografici, culturali o economici. È una ferita profonda che deve essere affrontata con determinazione e impegno da par- te di tutti. Da qui l’esigenza di istituire una ricorrenza specifica, ma non basta. “Questa giornata – ha affermato la psicologa Elisa Caponetti – è sicuramente utile nella misura in cui diviene un’occasione per sensibilizzare la popola- zione sul problema e aumentarne la consapevolezza, ma non è sufficiente. Occorre mantenere un livello costante di attenzione al problema, con iniziative stabili”.
TANTE FORME DIVERSE
Si fa presto a dire violenza: non si tratta solo di schiaffi, calci, pugni che spesso, come ci racconta la cronaca, sfociano nelle tragedie più immani. “La violenza ha tante e variegate sfumature – ha confermato l’esperta. Generalmente l’uomo non agisce fin da subito fisicamente. Vi è sempre una gradualità fatta di tanti importanti preludi psicologici. È bene precisare anche che gli uomini che sono violenti con la propria donna non sono tutti uguali e non lo sono tutti allo stesso modo. Esistono chiaramente diverse configurazioni: la violenza sessuale, quella psicologica, i maltrattamenti, le minacce di aggressione, le intimidazioni, gli atti persecutori, la violenza economica, il costringere la donna a utilizzare materiale pornografico, fino ad arrivare all’omicidio volontario”.
Quella fisica è la forma di violenza più riconoscibile in quanto genera una serie di lesioni visibili: “Viene messa in atto – ha spiegato Caponetti – per intimorire la donna attuando una strategia della paura con la finalità di mantenere il controllo sulla vittima, generando in lei il terrore che atti violenti possano manifestarsi in qualsiasi momento. Tutto ciò determina uno stato di sottomissione e assoggettamento tale da indurre la donna a compiacere l’aggressore. La fase in cui può esserci un picco massimo di violenza è nel momento in cui la donna decide di interrompere la relazione”.
La violenza psicologica è meno visibile, ma genera allo stesso modo danni e conseguenze altrettanto profonde, le cosiddette ferite dell’anima. “Si manifesta attraverso critiche, sottomissioni, denigrazioni, offese, accuse, assenza di rispetto, gelosie estreme, bugie e ricatti, umiliazioni, disprezzo, intimidazioni, limitazioni della pro- pria libertà, controllo, comportamenti persecutori e stalking, isolamento dai propri cari e dalle proprie amicizie.
È – ha chiarito la psicologa – una forma più subdola di violenza che ha la finalità di indebolire la donna, minando la sua autostima e fiducia in se stessa e andando a danneggiare la sua dignità. Anche questo tipo di violenza genera tensione e paura ed è finalizzata a svalutare l’altro per rinforzare se stessi e impedire che il partner se ne vada”. Esiste poi una forma di violenza diversa, quella economica, messa in atto soprattutto quando la donna non ha una propria autonomia o anche attuando strategie sul luogo di lavoro volte a determinare il licenziamento della donna e persino impedendole di fare colloqui per essere assunta. “Tutto ciò genera uno stato di sotto- missione e disparità, determinando dei ricatti economici costanti e una situazione di dipendenza”, ha concluso Caponetti.
Ma quali sono i meccanismi psicologici che impediscono a una donna di ribellarsi? “La donna – ha ribadito l’esperta – vede minata la propria forza e autostima. Ha paura per sé e per i figli, laddove si abbiano. Teme di non farce- la. Può avere dei sensi di colpa o sperare in un cambiamento. Sono tanti i motivi per cui non riesce a ribellar- si. Per quanto possa sembrare difficile da comprendere, la donna vittima di violenza, può comunque restare legata a una fase di relazione precedente in cui l’uomo era protettivo e amorevole.
Può provare emozioni e sentimenti contrastanti, può anche minimizzare ciò che accade o ritenersi responsabile di aver generato la violenza del proprio partner, può avere paura, perché sente di essere isolata e di non potercela fare senza di lui, può vivere nel terrore che lui scateni una violenza peggiore”. Allora che si fa? “Non bisogna sminuire o sottovalutare anche i primi segnali di violenza psicologica e si deve interrompere la relazione – ha suggerito la psicologa -. Non devono essere mai trascurati i segnali predittivi. Contestualmente, bisogna chiedere aiuto e denunciare. Se gli atti di violenza non vengono denunciati, generano un aumento di intensità e di ripetizione degli agiti violenti in quanto l’uomo si convince di avere pieno controllo sulla donna”.
Prevenzione a tutti i livelli
Gli stupri, che hanno sempre un profondo impatto sulla salute fisica e mentale della vittima, stanno diventando all’ordine del giorno. Come si fa a rieducare una società in cui questo dramma sembra essere diffuso? Tra le giustificazioni più aberranti degli ultimi casi di cronaca, infatti, ci sono affermazioni del tipo “la carne è carne” e “lo facevano tutti quindi l’ho fatto anche io”. “I giovani – ha spiegato Elisa Caponetti – spesso vivono centrati sul loro quotidiano in assenza totale di una qualche forma di progettualità e percorso di crescita sano, concentrati su se stessi e sulla necessità impellente di dare soddisfazione ai propri bisogni estemporanei e con essi la perdita di speranze e di una visione sana e positiva del futuro.
Sono immersi completamente in un mondo adulto inadeguato, dove non vi è spazio alcuno per mostrare la propria fragilità e so!ferenza. Tutto deve sempre essere perfetto. Compete al mondo degli adulti trovare una chiave di lettura della mente e dell’anima che sia d’aiuto a dare loro risposte adeguate e contenimento. È necessario – ha continuato – agire anche a livello di prevenzione, riuscendo a mettere il benessere dei giovani veramente al centro.
Occorre diffondere i veri valori esistenziali e insegnare loro a non inseguire cose puramente effimere. Bisogna fare prevenzione a tutti i livelli: famiglia, scuola, istituzioni, personale sanitario… È necessario – ha concluso – tornare a fare i genitori, saper dire dei no insegnando ai propri figli a tollerare le frustrazioni. Perché ciò sia possibile è importante offrire sia a scuola che in famiglia un sano spazio di vero ascolto”.